Descrizione
La coltivazione della vite in Calabria risale ai Greci, i quali, fin dall'VIII secolo a.C., individuarono sui litorali dell'Enotria, ossia "terra del vino" come chiamavano questa regione, le zone vocate alla vite e diedero impulso, con i loro vitigni e con le loro pratiche enoiche, a un'ottima produzione.
La Calabria offre, inoltre, le prime testimonianze di una imponente e organizzata esportazione del vino verso nord e ovest. La vite era una delle coltivazioni più diffuse e Verbicaro si attestò da subito come "capitale vitivinicola" del territorio tanto che il suo vino era già decantato da Plinio e Strabone. In epoca successiva il suo vino venne denominato Chiarello e Papa Paolo III divenne un amatore di questo vino fattogli conoscere dal suo bottigliere Sante Lancerio. Alla metà del secolo il Barrio scrive nel suo "De antiquitate et situ Calabriae" che "nel territorio di Cirella nasce un vino di mirabile qualità che a Roma è molto apprezzato". |
La viticoltura in Calabria continua ancora oggi a rivestire un ruolo fondamentale per l'economia della regione, con un patrimonio di varietà locali e tradizionali dalle quali si producono vini di elevata qualità.
La natura dei luoghi favorì la coltivazione della vite. Sono tre gli elementi che da sempre sono considerati importanti per la coltivazione dell’uva: la luce, il calore e l’umidità. Essenziale è l’esposizione del terreno e la sua capacità di riscaldarsi. Per questo la luminosità del periodo vegetativo giova alla produzione delle uve zuccherine di Verbicaro, mentre l’orientamento dei suoi terreni collinari, esposti ad ovest, garantiscono un maggior riscaldamento rispetto a quelli in piano.
Questi i principali vitigni di uve bianche: Ditella; Duraca di Santa Domenica; Malvasia; Messinese di Santa Domenica; Moscatella; Senese; Zibibbo o Duraca.
Uve nere: Castiglione; Dammaschina; Greca nera; Lacrima, Moscatella nera; Roia o ruggine.
L’operazione di pigiare l’uva con i piedi, era effettuata dallo “scamacciatur” nel palmento. Si tratta di una pratica ormai caduta in disuso, ma a Verbicaro non del tutto scomparsa. Considerata dagli enologi perfetta, in quanto consente, a differenza della pigiatura, ottenuta con la macchina, di graduare la consistenza del mosto, a seconda se si tratti di vini bianchi o neri. |
All'interno del palmento, inteso come locale, oltre alla vasca larga e bassa in muratura, e alla vasca più profonda detta fossa, trovano posto il torchio a vite, la pala in legno e l'otre. Quest'ultimo, simile, per forma e materiali alla zampogna, strumento musicale tipico dei pastori, veniva utilizzato per trasportare, con i muli, il mosto nel "catuvu", locale in cui si tenevano le botti.
Oltre all'otre, nei "catuvi" si rinvengono una serie di oggetti e di strumenti, realizzati sfruttando i materiali poveri, che costituiscono le risorse del territorio. La produzione del vino stimolava a Verbicaro la nascita di attività collaterali di tipo artigianale. Si tratta di barili, panieri di varie fogge, anfore, orci, vasi e "fiaschi" con le vesti in iuta, bottiglie e bicchieri di forme particolari, botti e tini, damigiane e qualche sedia prodotta da artigiani locali. |
Per quanto riguarda i materiali, oltre al legno, è significativa la presenza della iuta, ricchezza spontanea e naturale del territorio che veniva utilizzata oltre che per impagliare sedie e fiaschi anche per riparare le botti. Quest'ultime erano prodotte da artigiani locali con quercia e rovere provenienti dai Monti circostanti.
I "catuvi" sono anche luoghi di ritrovo conviviale per gli uomini della comunità, tra cibo, suoni di fisarmonica, brindisi e racconti.
Sin dai tempi antichissimi i verbicaresi si sono dedicati a conservare l'uva per poterla consumare durante il periodo invernale.
Lo Zibibbo veniva trasformato in uva passa. La produzione e la commercializzazione dei passi, nell'Alto Tirreno cosentino è attestata già nel 1600 dal Fiore.
Fino ai primi anni del secolo XIX, l'uva passa spedita in sporte o barili, raggiungeva via mare la Francia, la Svezia, La Germania, l'Inghilterra, l'Olanda e in Italia Napoli, Roma, Livorno, Genova, Venezia e Trieste. Dopo il 1860 la produzione, ricca e pregiata, andò in crisi a causa della distruzione di numerosi vigneti effettuata per consentire la costruzione della linea ferroviaria. Con l'uva passa si facevano anche i "panaciedd". La materia prima è l'uva Zibibbo di Verbicaro, molto ricca di zucchero e scarsamente acida. I grappoli d'uva legati con un sottile spago, infilati in un bastone, vengono immersi in una soluzione di acqua calda e cenere di legno, la cosiddetta "lissia", un tempo usata anche per il bucato. L'essiccazione dei grappoli viene completata nello "spannituro" tipico stenditoio verbicarese. All'essiccazione segue la diraspatura, e infine, la confezione. I "passili", almeno venti, vengono racchiusi in foglie di cedro legati con rami sottili di ginestra e passati nel forno caldo. I "panaciedd" fino alla metà del Novecento erano esportati in tutto il mondo. La loro bontà era tale che aveva colpito il palato e l'immaginario del Vate D'Annunzio, al punto da portarlo a descriverli in un bellissimo passaggio della "Leda senza cigno".
Vino Verbicaro
Come si consuma
Il Verbicaro Bianco si abbina ad antipasti di pesce e di verdure, a minestre e formaggi poco stagionati; il Verbicaro Rosso, è particolarmente indicato per accompagnare carni bianche ripiene al forno, minestre molto ricche di sapore, oppure piatti di formaggi e salumi tipici della regione; il Verbicaro Rosato, si sposa con i salumi e formaggi calabresi, le carni bianche, le minestre, i molluschi.
Come si produce
La metodologia produttiva utilizzata per la produzione del Bianco mira all'immediata estrazione del succo dal frutto, in maniera che la fermentazione riguardi solo la parte liquida. Nella vinificazione in bianco sempre più frequentemente la pressatura è effettuata direttamente su uve intere, quando non precedentemente pigiate, per separare il mosto dalle parti solide, riducendo al minimo la lacerazione delle bucce. Alla pressatura segue l'allontanamento delle particelle in sospensione o fecce, e la fermentazione del mosto pulito, a una temperatura massima di 20°C. Si procede, quindi, ai travasi per il definitivo illimpidimento del vino, il quale è, a quel punto, pronto per l'imbottigliamento.
La metodologia produttiva del Rosso può essere definita come la vinificazione con la vinaccia (costituita dalle parti solide dell'uva, bucce e vinaccioli) a contatto con il mosto durante la fermentazione, per estrarre parte delle sostanze in essa contenuta. In sostanza, l'uva viene pigiata e, nella maggioranza dei casi, diraspata, quindi posta in speciali recipienti per la fase di fermentazione e macerazione. Al termine della macerazione avviene la svinatura, che permette di eliminare dalla parte liquida le vinacce, ottenendo così il vino fiore. A questo punto il vino viene sottoposto a travasi per eliminare le altre sostanze solide eventualmente precipitate, quindi viene indirizzato all'affinamento e all'invecchiamento e infine stabilizzato e imbottigliato.
La metodologia produttiva del Rosato opera una fermentazione in bianco delle uve rosse, cioè senza macerazione delle vinacce, ma con il breve contatto con le vinacce del mosto fatto fermentare in bianco, dopo averlo separato dalle vinacce. Trattandosi di un tipo di vinificazione adottata per l'ottenimento di vini fini, occorrono pigiatrici diraspatrici che lavorino l'uva con molta delicatezza; il pigiato così ottenuto viene inviato nei fermentini, dove subisce una macerazione brevissima. Al termine di queste operazioni il vino fiore viene separato dalle vinacce e sottoposto a travasi, per separare la frazione limpida dalla feccia e per eliminare le altre sostanze solide eventualmente precipitate, quindi viene stabilizzato e, infine, imbottigliato.
Il vino di Verbicaro ha ottenuto la Doc nel 1995 con D.M. 21.10.1995 pubblicato sulla GU del 21.11.1995 n. 272.